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Tre vivi e tre morti

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Tre cavalieri che, durante un loro viaggio, si trovano la strada sbarrata da tre scheletri che sorgono da altrettante tombe : è l'incontro dei tre vivi e dei tre morti , un tema tipico della iconografia della morte nell'arte occidentale.

La rappresentazione della morte nelle pitture sacre prende l'avvio in particolare dal XIII secolo. «Fin dagli albori dell'Era Cristiana, l'unico mistero della natura veramente universale aveva rappresentato un tema di costante meditazione; ma per lunghi secoli tutto era rimasto circoscritto alle espressioni liturgiche e alle predicazioni, mentre gli artisti avevano proseguito ad interpretare il sonno eterno con un certo pudore, inevitabilmente riflesso nella compostezza dell'arte funeraria – annota lo storico Carlo Fornari - Solo a partire dalla seconda metà del XIII secolo, l'invenzione dei temi macabri ha radicalmente mutato l'immagine della morte, e, di conseguenza, il rapporto dei vivi con i morti».

L'incontro dei tre vivi e dei tre morti, in un antico documento miniato

Accanto ad altri soggetti, questa rappresentazione entra nella cosiddetta Biblia pauperum , la "Bibbia dei poveri": gli affreschi delle chiese avevano un ruolo fondamentale a sostegno della predicazione, perché la gran maggioranza dei fedeli era analfabeta .

Ecco allora comparire questo richiamo al destino ultimo dell'uomo. E' l'immagine dei tre cavalieri, giovani e vestiti di abiti signorili (per rappresentare la parte nobile della società), che incontrano i cadaveri da cui ricevono un ammonimento: «Ciò che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si scorda di noi, scorda se stesso».

Non è chiaro se la prima descrizione dell'"Incontro" sia avvenuta in forma pittorica o letteraria: «In base agli elementi più certi in nostro possesso, sembra che il mito abbia fatto in suo ingresso nella letteratura francese attorno al 1275, con un poemetto di Baudoin de Condé , menestrello alla Corte della contessa Margherita di Fiandra - annota Fornari - In Italia esisteva una precisa iconografia nel duomo di Atri fin dal 1260-70».

Parte dell'affresco sito nella chiesa di Saint Germain di La Ferté-Loupiere, in Francia

In tutta Europa gli "Incontri" iniziarono così a diffondersi su affreschi, vetrate, bassorilievi, e spesso sulle pergamene miniate dai monaci. Negli affreschi continueranno ad essere riprodotti fino all'ultimo quarto del XIV secolo, anche se esistono alcuni esempi successivi; in seguito entreranno a far parte di rappresentazioni più complesse, quali i Trionfi della Morte e le Danze macabre .

Anche se l'iconografia degli "Incontri" è insolita, e all'apparenza innovativa, c'è da dire che ha alle spalle una tradizione millenaria, le cui radici affondano nell' Est asiatico . «Secondo una tradizione araba il poeta Adi, vissuto verso il 580 d.C., avrebbe detto rivolto a Noman, re di Hira, che cavalcava assieme a lui nei pressi di un cimitero: "Che la sventura rimanga lontana da te! Conosci tu il messaggio di questi morti?". Ed enunciò compiutamente la frase destinata ad essere presente in vari monumenti funebri e macabri contesti: "Noi fummo ciò che voi siete, voi sarete ciò che noi siamo!"».

In Italia gli "Incontri" finora rinvenuti sono 13: il terzo in ordine di antichità si trova a poca distanza da Torino, nel chiostro della canonica di Vezzolano , nel Comune di Albugnano. Come in altre rappresentazioni, anche qui compare la figura del monaco : «Negli "Incontri" , il romito si incarica di illustrare la macabra rappresentazione e di ammonire i vivi, soprattutto dopo che i morti, abbandonate le sembianze dello scheletro parlante, assumono quelle dei cadaveri muti, immobili, o appena sortiti dalla loro tomba – spiega Fornari - In questo senso, egli adempie la sua funzione con un'esplicita gestualità che orienta la riflessione e svolge un ruolo rassicurante che mitiga la tragica rivelazione del mistero».

L'affresco di Vezzolano: da notare la presenza del monaco

Nel caso di Vezzolano, all'affresco è associata una leggenda. Uno dei cavalieri è Carlo Magno , e l'eremita San Macario gli illustra il significato dell'apparizione, ricordandogli la vanità della grandezza terrena: anche lui diventerà come quei tre scheletri, e lo esorta a ricorrere alla Madonna che lo guarisce dall'epilessia a cui è affetto. In segno di riconoscenza per guarigione, Carlo fa costruire la chiesa di Santa Maria di Vezzolano con accanto un monastero.