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Che cosa dire e fare nel lutto: il galateo del funerale

Esiste un “galateo” del funerale? C’è un insieme di norme che spieghino come ci si deve comportare nella più triste delle cerimonie?
La risposta è positiva, ma non vogliamo limitare la partecipazione a una funzione funebre a un reticolo di convenzioni, a un “si deve e non si deve fare”. E questo per una serie di buoni motivi, che si possono così riassumere: se “partecipazione” deve essere, che sia allora dettata dalla sensibilità di ciascuno, e quindi diventi una espressione individuale, e non il semplice tentativo di rispondere a un insieme di convenzioni sociali.
E allora iniziamo proprio dalla “partecipazione”: lo scritto con cui, per tradizione, ci si unisce nel cordoglio alla famiglia dello scomparso e che, molto spesso, viene consegnato all’ingresso in chiesa, al momento della cerimonia funebre.
La forma peggiore è quella costituita da un biglietto da visita, magari con il “dott.” cancellato da un trattino di penna, e la frettolosa aggiunta di una parola tipo “Condoglianze”, o qualcosa di simile. E’ un segno per dire “io c’ero” al funerale, ma non va oltre. La barriera del nome stampato, la formalità di un biglietto in prevalenza usato a scopi professionali o comunque molto pratici, attenua nella sostanza ciò che vorrebbe essere un segno di condivisione.
Meglio, allora, sostituire al classico biglietto una breve lettera: magari poche parole, ma sentite e possibilmente non banali, fuori dai luoghi comuni. Anche perché, di pietose banalità, in occasione di un funerale se ne ascoltano sempre. “Ha smesso di soffrire”, “Ci sarà sempre vicino” sono frasi che, a seconda delle convinzioni religiose e filosofiche di ciascuno possono avere un contenuto di verità molto elevato. Un contenuto, tuttavia, che è difficile apprezzare quando il trauma della scomparsa si è appena verificato.
Torniamo allora alle parole. Sovente sono tante a ridosso del lutto, e poi si annullano quasi del tutto nelle settimane, nei mesi successivi. Quando, invece, sarebbero più necessarie. Perché, allora, non provare a rimandare a dopo la “partecipazione”? Perché non provare, col tempo e con la calma necessari, a offrire una consolazione, a condividere un ricordo di chi non c’è più?

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Poche parole, scritte a mano e di cuore, sono assai meglio di un biglietto da visita deposto all'ingresso della chiesa il giorno del funerale

Una “partecipazione” di questo tipo, posticipata nel tempo, chiede maggiore impegno a chi la scrive, certo. Però è estremamente salutare per chi la riceve, perché è un prezioso aiuto nel cammino di elaborazione del lutto. Sono parole che leniscono, che condividono, che non fanno sentire soli. Sono parole che fanno guarire.
Il “galateo del funerale” si occupa ovviamente anche degli aspetti formali per evidenziare il ruolo, il contributo di ciascun individuo nel momento del cordoglio. Occorre perciò tenerli in giusto conto, in modo da non sottovalutarli né eccedere.
L’abito, per esempio. Il funerale, sia che avvenga in una chiesa, nel tempio della cremazione o altrove, è comunque una cerimonia che, dunque, richiede un minimo di formalità. Se l’abito nero è eccessivo, anche le fantasie o i colori troppo vivaci sono fuori luogo: non in sé, ma perché non in sintonia col messaggio che si desidera trasmettere, che è poi “Il tuo dolore è anche il mio”.

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Molte famiglie preferiscono a omaggi floreali un contributo ad associazioni di volontariato

Ma più dell’abito conta l’atteggiamento, che vuole e deve essere quello del cordoglio, della condivisione. Potrà sembrare banale, scontato: ma condividere almeno le poche decine di minuti di una cerimonia funebre significa prestare attenzione a ciò che sta accadendo, alle parole che vengono pronunciate, ai riti che vengono officiati. Prestare attenzione – è ovvio anche questo, ma purtroppo l’esperienza insegna che occorre segnalarlo – significa tagliare per una manciata di minuti il ponte con il resto del mondo. E, di conseguenza, spegnere i telefoni cellulari: che, invece, spesso accade di sentire suonare anche in chiesa, anche durante un funerale.

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L'obbligo sociale di presenziare alla sepoltura è limitato ai congiunti più stretti

La cerimonia del funerale, a prescindere dal modo con cui viene celebrata, è in sé piuttosto breve. Questa è una buona ragione sia per non arrivare in ritardo, sia per non andarsene prima che sia finita. Chi prevedesse di non avere tempo a sufficienza, può incontrare la famiglia dello scomparso nei giorni precedenti (per i defunti di fede cattolica, per esempio, due-tre giorni prima delle esequie si recita il Rosario), oppure in quelli successivi alla sepoltura.
Non è invece obbligatorio, a meno che non si rientri tra i parenti stretti o le persone comunque più vicine, accompagnare il feretro al cimitero per assistere alla sepoltura. E’ questo uno dei momenti più dolorosi, perché i segni del distacco sono tanto inequivocabili quanto definitivi. E’ la circostanza in cui, a meno di un coinvolgimento diretto, la capacità di “essere vicini” impone di fare un passo indietro. Il tempo di ripresentarsi verrà poi.