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Torino, città magica

"“Torino è una città magica”: una affermazione che ha la forza del luogo comune. In vacanza sarà certo capitato a molti, di sentirsi dire: “Arrivi da Torino? E’ una città magica!”.
Naturalmente c’è poi chi trasforma il postulato, cioè l’affermazione che occorre prendere per buona come atto di fede, in una verità che è anche possibile dimostrare: e dunque “Torino è magica perché…”.
Ma esiste davvero una città “di secondo livello”, sconosciuta ai più, dove lo straordinario è quotidiano? Chi ne è convinto risponde di sì, e lo giustifica con ragioni geografiche e storiche.
Conta la topografia, perché la città nacque alla confluenza tra due grandi fiumi, il Po e la Dora ma, ciò che più influisce, tra l’incontro tra le correnti energetiche che raccorderebbero epoche e universi differenti.

Ma c’entra anche la storia, perché alla magia dei Celti si sarebbe sovrapposta quella degli Egizi. Per buon conto, aggiungiamo anche un’altra materia scolastica: la geometria: così liquidiamo subito la questione dei triangoli, che vedono Torino a un vertice. Con Cracovia e Lione per la magia bianca, con Praga e Parigi per quella nera e satanista (ma, in questo caso, c’è chi agli altri vertici colloca Londra e San Francisco). Anche se poi, e lo scopriremo, di triangoli se ne potrebbero aggiungere altri due, e una stella… per fare buon peso.
Un viaggio alla scoperta della Torino magica, da dove dovrebbe iniziare? La risposta è una sola: dalla chiesa della Gran Madre di Dio, all’estremo di piazza Vittorio, ai piedi della collina, sulla riva del Po.
Qui si racconta esistesse un tempio dedicato alla dea egizia Iside, che dunque sarebbe la protettrice esoterica (cioè “nascosta”) della città: guarda caso, era venerata come “grande madre” del dio Horus e del frumento. Davanti alla facciata della chiesa ci sono le due statue della Carità (a destra di chi guardi) e della Fede (a sinistra). Quest’ultima tiene in mano un calice, e guarda in una direzione all’apparenza indefinita: in realtà i suoi occhi puntano verso il luogo in cui è celato il Santo Graal, ovvero la reliquia più preziosa del Cristianesimo: il calice dell’Ultima Cena, quello in cui San Giuseppe d’Arimatea raccolse le ultime gocce del sangue di Cristo. Anche se pochi lo sanno, non si tratta però dell’unica statua cittadina a innalzare il Graal: ce n’è una seconda sulla facciata della chiesa dei Santi Martiri, in via Garibaldi.

Come si fa a essere certi che il Graal sia a Torino? “E’ ovvio!”, rispondono gli esperti di misteri misteriosi. Dato che in città ci sono già la Sacra Sindone e, nella basilica di Maria Ausiliatrice, una porzione della Croce del Calvario, la terza grande reliquia della Passione non potrebbe essere altrove. Come dire che non c’è il due senza il tre? Il viaggio alla scoperta della Torino magica dovrebbe poi superare il Po, e puntare verso la Mole Antonelliana. E’ “solo” il simbolo cittadino, oppure è qualcosa di più? Un talismano benefico e gigantesco, per esempio… Ma lasciamo il più noto monumento della città, e muoviamo verso il centro. Camminiamo sotto i portici costruiti per proteggere le passeggiate dei re, e arriviamo in piazza Castello. Qui la magia è dappertutto: nell’aria, ma anche sotto terra. Sarebbero infatti da queste parti le misteriose Grotte Alchemiche, dentro le quali antichi scienziati al servizio dei Savoia cercavano di trasmutare in oro i metalli vili. Ma ci sarebbe anche un affioramento di energia benefica, che è più consistente al centro della cancellata che separa piazza Castello dalla piazzetta Reale.

Qui, in piazza Castello e dintorni, ci sarebbe molto da raccontare: e lo faremo, promesso. Però questa nostra passeggiata per prendere contatto con “l’altra” Torino chiede di andare avanti. Fino a piazza Solferino, dove si trova la Fontana Angelica che, a saperla decifrare, è un trattato di simbologie arcane. Riservate, però, ai pochi iniziati che le comprendono.
Sulla “magia dell’acqua” torinese ci sarebbe peraltro molto altro da dire: sarà perciò oggetto di una trattazione a sé. Riprendiamo allora il cammino, e portiamoci in via Garibaldi. Non le vediamo, ma accanto a noi scivolano presenze arcane: spettri che ancora vagano per la città (e di cui, ça va sans dire, prima o poi faremo conoscenza).
Ma la strada chiama, ed eccoci arrivati in piazza Statuto. Arriviamo dal bianco e ora siamo nel nero.
Eravamo immersi nell’energia positiva, e ora dobbiamo fare attenzione a quella negativa. Perché qui batte il “cuore nero” della città, che ha due simboli: la fontana dedicata a chi realizzò il traforo del Frejus, e un piccolo obelisco poco distante. Com’è possibile che monumenti all’apparenza inoffensivi celino una malvagità arcana? Anche qui c’è la spiegazione. Il viaggio alla scoperta della Torino che non ci si aspetta è appena iniziato…"