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La montagna è assassina?

Tra le immagini-simbolo dell'alpinismo, nel 2019, ci sarà quella di circa 300 scalatori in coda, in piena zona della morte , in attesa di salire sulla cima dell' Everest .

Quest'anno, sulle falde della montagna più alta del mondo, sono morte 11 persone . In Italia, Inoltre, ha tenuto col fiato sospeso la vicenda dell'italiano Daniele Nardi e dell'inglese Tom Ballard , dapprima dispersi e di cui in seguito è stata accertata la morte sul Nanga Parbat , altro "ottomila" himalaiano.

Alpinisti in coda sull’Everest (foto: Nirma Purja, profilo Facebook)

In questi frangenti capita di sentir parlare di montagna assassina : quasi fosse il luogo ad accanirsi nei confronti di chi cerca di violarlo. Ma in materia il parere risolutivo è quello di Reinhold Messnner , il più grande alpinista vivente: «Non esistono montagne assassine. Esistono montagne più o meno difficili e su di esse vie più o meno complicate».

Sta all'alpinista affrontare le salite adatte a lui, per preparazione tecnica e fisica, pur sapendo che la montagna riserva una percentuale di imprevedibilità che neanche l'allenamento e la tecnica possono fronteggiare: Perché andare a cercare questi rischi? «Il vero alpinismo è un gioco pericoloso, però gestibile – sostiene Messner - Consiste nell'affrontare le difficoltà possibilmente con eleganza».

L'Annapurna, montagna tragica

C'è allora da domandarsi dove stia l'eleganza nelle cosiddette spedizioni commerciali: quelle che, di riffa o di raffa, ti tirano su fino in cima all'Everest con spesa che va dai 40 ai 100.000 dollari a persona. E' l'interrogativo posto dalle persone in fila in attesa di calpestare la cima dell'Everest e poi tornare a valle con la maggior velocità possibile.

E poi c'è un'altra questione: è etico salire una montagna avvalendosi delle bombole d'ossigeno oppure, come sostengono i puristi, ci si deve basare solo sulle proprie forze? Secondo l' Himalayan Database , nel 2018 delle 802 persone sono giunte in cima all'Everest solo una non ha usato l'ossigeno supplementare.

Nonostante ciò, in montagna in generale e sugli "ottomila" himalayani in particolare, gli alpinisti continuano a morire. Il triste record spetta all' Annapurna (8091 m), il primo ottomila a essere scalato e, dal punto di vista tecnico, non eccessivamente difficile. Ma c'è il pericolo costante delle valanghe, tanto che supera il 40% il rapporto tra gli alpinisti morti e quelli arrivati in vetta.

Il Nanga Parbat, "the killer mountain"

Al secondo posto per indice di mortalità (28%) c'è il Nanga Parbat (8126 m), soprannominata the killer mountain . Il K2, tecnicamente il più difficile tra gli ottomila, segue col 27%. L'Everest è più staccato, ma conta circa 300 decessi: un numero elevato, legato all'inevitabile richiamo che la vetta più alta del pianeta esercita sugli alpinisti. A ciò si aggiunga che, superati gli 8000 metri, si entra nella cosiddetta "zona della morte", quella in cui l'ossigeno nell'aria non è più sufficiente e le cellule del corpo iniziano a morire.