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La morte nel mondo occidentale

"Qual è il rapporto tra l’uomo e la morte, nel mondo occidentale? A questa domanda si può rispondere in vari modi: la strada che percorreremo è forse più lunga ma, ne siamo convinti, consentirà di spiegare meglio il parere cui approderemo.
Accettando la schematizzazione che lo storico e antropologo Philip Aries tratteggia nel suo fondamentale saggio “L’uomo e la morte dal medioevo a oggi”, iniziamo con l’affermare che per un periodo di circa otto secoli, dal 600 al 1400 d.C. la morte può dirsi addomesticata. Il paragone con un animale selvatico che gradualmente viene abituato alla presenza e all’interazione con l’uomo è certo calzante. Ma meglio ancora si può comprendere l’”addomesticamento” se si analizza l’etimologia della parola, che deriva dal latino “ad domus”, e dunque “nei pressi della casa”.

E’ cioè come se nei confronti della morte l’uomo fosse riuscito a stabilire dei criteri accettabili di convivenza. Si tratta di un approccio che va certo collegato con la diffusione del Cristianesimo, che va a incidere non solo sull’organizzazione civile e religiosa della società, ma porta con sé la prospettiva della resurrezione e dunque esorcizza in modo definitivo lo spettro della morte. L’addomesticamento della morte è possibile anche perché l’evento viene vissuto in forma comunitaria. La stessa salma non è più vista come cosa impura, com’era invece presso i Romani che avevano i cimiteri ben distanti dai centri abitati.

La salma, nel cristianesimo, è in attesa della resurrezione finale, che sarà anche resurrezione della carne. Di qui la necessità di collocarla in un luogo benedetto, e se possibile nei pressi della tomba di un Santo, su cui viene eretta una chiesa. E’ il “campo santo”, all’interno dell’abitato, che ai più ricchi consente la sepoltura nella chiesa stessa (come testimoniano numerose lastre tombali), mentre per i poveri ci sono semplici fosse nella terra. Lentamente però si manifesta un cambiamento. La maggior presenza della cultura cattolica incide sul significato, sulla finalità e sul rito della morte. Che resta sì una tappa necessaria e inevitabile per l’uomo, ma prelude al suo “giudizio” che si dovrebbe verificare nel momento del trapasso. Per salvarsi non è perciò più sufficiente essere sepolti nella “terra santa” di una chiesa o delle sue immediate adiacenze. Occorre anche superare un giudizio personale, che sarà positivo soprattutto se la morte avverrà all’insegna della fede e della moralità. Non è un caso che le rappresentazioni artistiche del morente spesso lo vedono circondato da angeli e diavoli, pronti a contendersene l’anima.

Siamo tra il XV e il XVI secolo: si avverte la morte come atto conclusivo della vicenda personale,lapidi personalizzate accompagnano le tombe, in quella che Aries definisce “morte di sé”. Tra la fine del XVI e fino al XVIII secolo la morte perde però il suo carattere di familiarità e si trasforma in un evento di rottura nei confronti del quotidiano. I parenti, in precedenza partecipi dell’agonia e del decesso, ne diventano prima gli spettatori e poi gli esecutori delle “ultime volontà” racchiuse nel testamento.
E’ in questo periodo che si inizia a pensare ai cadaveri come a “problemi igienici”: i cimiteri vengono allora allontanati dai centri, relegati nelle periferie. E’ quella che Aries definisce “morte dell’altro”: il decesso cessa di essere un evento che coinvolge una comunità, e gradualmente diventa un evento anonimo.
Dal XIX secolo in poi, però, la morte diventa un vero e proprio tabù: inizia l’era della “morte proibita”. Il moribondo non è più un protagonista, bensì diventa succube della volontà altrui, cui di domanda di avere “un accettabile stile di vita mentre muore, un accettabile stile di fronte alla morte”. Quasi che, fino all’ultimo, si dovesse far finta che non si morirà mai. Ed e? questa la ragione per cui il cadavere viene vestito a festa, truccato o addirittura imbalsamato: deve apparire come quasi-vivo, per non suscitare vergogna o ripugnanza.

La morte diventa anche un evento che mette in imbarazzo chi sopravvive. Scompare l’uso del lutto nei rapporti sociali e negli abiti: chi ha perso un congiunto deve cercare di rientrare il più presto possibile nel circuito sociale. Ed eccoci ai giorni nostri. Secondo Aries la rimozione della morte avviene attraverso la rimozione del morire e del moribondo. Morire, in Occidente, è diventato un atto meccanico e solitario, celato in un ospedale e legato alla prosecuzione o all’interruzione delle cure."